Le Nostre Maschere
LA TRADIZIONE DELLE MASCHERE E LA NASCITA DEL CENTRO NAZIONALE DI COORDINAMENTO DELLE MASCHERE ITALIANE
“Venite pure avanti, vezzose mascherette!”
Mozart, Don Giovanni
Come ricorda un proverbio ligure, “A San Bastian i maschi i van”. Il Carnevale inizia ufficialmente il 20 di gennaio, giorno di San Sebastiano, e ogni anno già dalle settimane precedenti questa data molti sono alla ricerca di un costume da indossare, poiché fa parte del gioco travestirsi, coprendo il volto con una maschera e il corpo con un costume, per assumere una nuova identità ed esibire, anche se per la sola durata della festa, un ruolo straordinario e poteri superiori. Poiché la maschera è il simbolo del Carnevale, sembra interessante fare solo qualche breve cenno alle sue origini ed evoluzione, rimettendoci agli antropologi ed agli studiosi per una analisi più approfondita dell'argomento. L'uso della maschera era diffuso in tutti i continenti, in diversi contesti culturali e con differenti funzioni: veniva indossata soprattutto per i rituali religiosi, come un mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità, oppure in alcune culture aveva il compito di mettere in fuga le forze delle tenebre e dell’inverno, per aprire la strada alla primavera. L’uso di maschere è documentata già nel Paleolitico, poi, nel VI secolo a.C. fecero la comparsa nelle rappresentazioni teatrali, quando, secondo la tradizione, furono introdotte per la prima volta dal poeta e attore Tespi, "inventore" del teatro tragico greco. In origine erano realizzate in lino e potevano essere bianche o scure: quelle bianche rappresentavano il sesso femminile, le scure quello maschile, e tutte avevano i tratti del volto molto accentuati per evidenziare dolore o allegria. Solo in un secondo momento si passò all’uso di sughero, di pelle o legno. Anche nel mondo latino gli attori che recitavano le atellane, farse di origine osca, portavano una maschera. Durante il Medioevo il suo uso incontrò l’opposizione del clero, ma almeno a partire dal X secolo i giullari la indossavano per rappresentare in modo caricaturale degli animali, attraverso i quali delineavano vizi e virtù umani. Le nostre maschere tradizionali, quelle che tutti conoscono fin da bambini, nascono dalla Commedia dell'Arte, una forma di spettacolo nata in Italia nel XVI secolo, in cui gli attori, indossandole, interpretano un ‘tipo fisso’, vale a dire un personaggio che si presenta sempre con gli stessi tratti caratteriali e fisionomici per sottolineare i vizi e i difetti degli uomini. Anche altre espressioni artistiche, come il Teatro dei Burattini, danno vita a pupazzi dotati di una particolare personalità. In tempi più recenti, l’inventiva popolare ne ha creato innumerevoli altre, ed il processo è in continua evoluzione, tanto che accanto ai personaggi di più antica tradizione, se ne sono aggiunti di nuovi, la cui notorietà, in alcuni casi, rimane circoscritta solo in ambito locale, in altri si è estesa a tal punto da renderli famosi oltre i confini regionali. Le maschere ci attraggono con la loro goffaggine e allegria, ma allo stesso tempo sono testimoni della cultura, delle tradizioni e della storia delle comunità che esprimono e, oltre ed essere l’espressione caratterizzante di una festa celebrata e sentita in tutto il paese, rappresentano un’efficace richiamo e ogni anno creano, nel settore del turismo del commercio e nel mondo del lavoro e della cultura, un indotto significativo, che deriva dalle numerose presenze nelle strutture ricettive, ma anche dal giro di affari legato all’impiego dei materiali e della manodopera utilizzata nell’allestimento delle allegorie. Per valorizzare questo importante patrimonio, il 28 novembre 2015 si è costituita a Parma, presso la Sala Consiliare del Comune, con la firma dell’Atto Costitutivo, l’Associazione culturale “Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane” come richiesto da oltre 200 maschere che in precedenza, il 24 maggio 2015, durante la quarta edizione di “Maschere Allegoriche a Parma”, si erano riunite in assemblea per dare vita alla costituzione del Centro a cui aderiscono, oltre all’ Associazione di Parma, quelle delle città di Loano, Torino, Vercelli, Castelnuovo Don Bosco (Asti), Busca (Cuneo), Verona, Aosta, Acerra (Napoli), Catanzaro, Polignano a Mare (Bari), Sciacca (Agrigento); dopo quella data il numero dei soci si è notevolmente ampliato e ora le maschere iscritte sono oltre 350. L’idea di lanciare una manifestazione che raccogliesse in un’unica sede i soggetti rappresentativi delle maschere allegoriche italiane era venuta alcuni anni fa a Maurizio Trapelli, che veste i panni di “Al Dsèvod”, personaggio allegorico di Parma, ed è stata fatta propria da centinaia di maschere di tante regioni italiane. L’Associazione è nata con l’intento di far conoscere alla collettività questo importante patrimonio fatto di cultura e tradizione, di operare un costante coordinamento tra le diverse realtà locali al fine di sviluppare la conoscenza e la promozione, a livello nazionale ed europeo, delle maschere allegoriche italiane, di creare un calendario nazionale annuale delle manifestazioni ad esse connesse, di diffondere la conoscenza delle maschere nel mondo giovanile e di promuovere attività culturali. L’Associazione “Vecchia Loano” ne è cofondatrice, condivide, insieme a molte altre, gli obiettivi indicati nello statuto e vi partecipa con le tre maschere cittadine Beciancin, Puè Pepin, la principessa Doria del Castello, insieme a Capitan Fracassa, in rappresentanza di tutta la Liguria. Nel 2019, come previsto dallo Statuto, è stato pubblicato a cura del professor Marzio Dall’Acqua, storico e critico dell’arte, docente universitario, e presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma, il libro “Registro Nazionale delle maschere italiane”, che elenca le maschere e i personaggi folkloristici delle regioni italiane, i loro interpreti, insieme agli usi, ai costumi e alle tradizioni di cui sono portatori. Per testimoniare la collaborazione tra l’Associazione “Vecchia Loano” e le altre che aderiscono al Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane, la cerimonia che apre il CarnevaLöa e le sfilate delle successive domeniche vedono la presenza di numerose maschere e gruppi folcloristici provenienti da molte delle città che ne fanno parte. Allo stesso modo una delegazione loanese è ospite durante le sfilate organizzare dalle altre associazioni. Inoltre, nel castello di Bardi, vicino a Parma, è stato creato un museo, alla cui nascita ha contribuito Santino Puleo, primo presidente dell’Associazione “Vecchia Loano”. L’iniziativa, che ha lo scopo di valorizzare le maschere come simbolo delle culture, delle tradizioni e delle identità del territorio italiano, presenta una collezione di costumi dei personaggi delle varie regioni d’Italia. Il sodalizio loanese vi partecipa con una statua in cartapesta raffigurante Capitan Fracassa, realizzata dal maestro Mario Nebiolo, la maschera in cuoio del Beciancin, realizzata dall’artista Cesare Guidotti e un piatto in ceramica con l’immagine del Pué Pepin. In considerazione di ciò che le maschere rappresentano, il comitato si sta mobilitando per ottenere che vengano riconosciute come uno dei tanti simboli della cultura italiana nel mondo e siano inserite dall’Unesco nel patrimonio orale e immateriale dell’umanità, affidandosi a quanto viene dichiarato dall’agenzia:
Mozart, Don Giovanni
Come ricorda un proverbio ligure, “A San Bastian i maschi i van”. Il Carnevale inizia ufficialmente il 20 di gennaio, giorno di San Sebastiano, e ogni anno già dalle settimane precedenti questa data molti sono alla ricerca di un costume da indossare, poiché fa parte del gioco travestirsi, coprendo il volto con una maschera e il corpo con un costume, per assumere una nuova identità ed esibire, anche se per la sola durata della festa, un ruolo straordinario e poteri superiori. Poiché la maschera è il simbolo del Carnevale, sembra interessante fare solo qualche breve cenno alle sue origini ed evoluzione, rimettendoci agli antropologi ed agli studiosi per una analisi più approfondita dell'argomento. L'uso della maschera era diffuso in tutti i continenti, in diversi contesti culturali e con differenti funzioni: veniva indossata soprattutto per i rituali religiosi, come un mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità, oppure in alcune culture aveva il compito di mettere in fuga le forze delle tenebre e dell’inverno, per aprire la strada alla primavera. L’uso di maschere è documentata già nel Paleolitico, poi, nel VI secolo a.C. fecero la comparsa nelle rappresentazioni teatrali, quando, secondo la tradizione, furono introdotte per la prima volta dal poeta e attore Tespi, "inventore" del teatro tragico greco. In origine erano realizzate in lino e potevano essere bianche o scure: quelle bianche rappresentavano il sesso femminile, le scure quello maschile, e tutte avevano i tratti del volto molto accentuati per evidenziare dolore o allegria. Solo in un secondo momento si passò all’uso di sughero, di pelle o legno. Anche nel mondo latino gli attori che recitavano le atellane, farse di origine osca, portavano una maschera. Durante il Medioevo il suo uso incontrò l’opposizione del clero, ma almeno a partire dal X secolo i giullari la indossavano per rappresentare in modo caricaturale degli animali, attraverso i quali delineavano vizi e virtù umani. Le nostre maschere tradizionali, quelle che tutti conoscono fin da bambini, nascono dalla Commedia dell'Arte, una forma di spettacolo nata in Italia nel XVI secolo, in cui gli attori, indossandole, interpretano un ‘tipo fisso’, vale a dire un personaggio che si presenta sempre con gli stessi tratti caratteriali e fisionomici per sottolineare i vizi e i difetti degli uomini. Anche altre espressioni artistiche, come il Teatro dei Burattini, danno vita a pupazzi dotati di una particolare personalità. In tempi più recenti, l’inventiva popolare ne ha creato innumerevoli altre, ed il processo è in continua evoluzione, tanto che accanto ai personaggi di più antica tradizione, se ne sono aggiunti di nuovi, la cui notorietà, in alcuni casi, rimane circoscritta solo in ambito locale, in altri si è estesa a tal punto da renderli famosi oltre i confini regionali. Le maschere ci attraggono con la loro goffaggine e allegria, ma allo stesso tempo sono testimoni della cultura, delle tradizioni e della storia delle comunità che esprimono e, oltre ed essere l’espressione caratterizzante di una festa celebrata e sentita in tutto il paese, rappresentano un’efficace richiamo e ogni anno creano, nel settore del turismo del commercio e nel mondo del lavoro e della cultura, un indotto significativo, che deriva dalle numerose presenze nelle strutture ricettive, ma anche dal giro di affari legato all’impiego dei materiali e della manodopera utilizzata nell’allestimento delle allegorie. Per valorizzare questo importante patrimonio, il 28 novembre 2015 si è costituita a Parma, presso la Sala Consiliare del Comune, con la firma dell’Atto Costitutivo, l’Associazione culturale “Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane” come richiesto da oltre 200 maschere che in precedenza, il 24 maggio 2015, durante la quarta edizione di “Maschere Allegoriche a Parma”, si erano riunite in assemblea per dare vita alla costituzione del Centro a cui aderiscono, oltre all’ Associazione di Parma, quelle delle città di Loano, Torino, Vercelli, Castelnuovo Don Bosco (Asti), Busca (Cuneo), Verona, Aosta, Acerra (Napoli), Catanzaro, Polignano a Mare (Bari), Sciacca (Agrigento); dopo quella data il numero dei soci si è notevolmente ampliato e ora le maschere iscritte sono oltre 350. L’idea di lanciare una manifestazione che raccogliesse in un’unica sede i soggetti rappresentativi delle maschere allegoriche italiane era venuta alcuni anni fa a Maurizio Trapelli, che veste i panni di “Al Dsèvod”, personaggio allegorico di Parma, ed è stata fatta propria da centinaia di maschere di tante regioni italiane. L’Associazione è nata con l’intento di far conoscere alla collettività questo importante patrimonio fatto di cultura e tradizione, di operare un costante coordinamento tra le diverse realtà locali al fine di sviluppare la conoscenza e la promozione, a livello nazionale ed europeo, delle maschere allegoriche italiane, di creare un calendario nazionale annuale delle manifestazioni ad esse connesse, di diffondere la conoscenza delle maschere nel mondo giovanile e di promuovere attività culturali. L’Associazione “Vecchia Loano” ne è cofondatrice, condivide, insieme a molte altre, gli obiettivi indicati nello statuto e vi partecipa con le tre maschere cittadine Beciancin, Puè Pepin, la principessa Doria del Castello, insieme a Capitan Fracassa, in rappresentanza di tutta la Liguria. Nel 2019, come previsto dallo Statuto, è stato pubblicato a cura del professor Marzio Dall’Acqua, storico e critico dell’arte, docente universitario, e presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma, il libro “Registro Nazionale delle maschere italiane”, che elenca le maschere e i personaggi folkloristici delle regioni italiane, i loro interpreti, insieme agli usi, ai costumi e alle tradizioni di cui sono portatori. Per testimoniare la collaborazione tra l’Associazione “Vecchia Loano” e le altre che aderiscono al Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane, la cerimonia che apre il CarnevaLöa e le sfilate delle successive domeniche vedono la presenza di numerose maschere e gruppi folcloristici provenienti da molte delle città che ne fanno parte. Allo stesso modo una delegazione loanese è ospite durante le sfilate organizzare dalle altre associazioni. Inoltre, nel castello di Bardi, vicino a Parma, è stato creato un museo, alla cui nascita ha contribuito Santino Puleo, primo presidente dell’Associazione “Vecchia Loano”. L’iniziativa, che ha lo scopo di valorizzare le maschere come simbolo delle culture, delle tradizioni e delle identità del territorio italiano, presenta una collezione di costumi dei personaggi delle varie regioni d’Italia. Il sodalizio loanese vi partecipa con una statua in cartapesta raffigurante Capitan Fracassa, realizzata dal maestro Mario Nebiolo, la maschera in cuoio del Beciancin, realizzata dall’artista Cesare Guidotti e un piatto in ceramica con l’immagine del Pué Pepin. In considerazione di ciò che le maschere rappresentano, il comitato si sta mobilitando per ottenere che vengano riconosciute come uno dei tanti simboli della cultura italiana nel mondo e siano inserite dall’Unesco nel patrimonio orale e immateriale dell’umanità, affidandosi a quanto viene dichiarato dall’agenzia:
“Questo patrimonio culturale immateriale è fondamentale nel mantenimento della diversità culturale di fronte alla globalizzazione e la sua comprensione aiuta il dialogo interculturale e incoraggia il rispetto reciproco dei diversi modi di vivere. La sua importanza non risiede nella manifestazione culturale in sé, bensì nella ricchezza di conoscenza e competenze che vengono trasmesse da una generazione all’altra.”
LE MASCHERE LOANESI
In un passato non troppo lontano, in ogni paese vi erano tipi singolari: persone che spiccavano per arguzia, bizzarria, originalità o semplicità d’animo, protagoniste, sovente, di detti, storie, vicissitudini curiose e intriganti. Questi personaggi non si possono definire tipici, ma sono figure buffe, che per le loro caratteristiche sono rimaste nel ricordo di chi le ha conosciute e sono entrate a far parte della memoria collettiva della comunità. Anche su un piccolo palcoscenico come quello di Loano si sono mossi molti di questi bizzarri personaggi, che avevano un posto nell’economia del borgo un tempo dipendente in buona parte dall’agricoltura. In ambito locale la fantasia popolare, con un processo creativo in continua evoluzione, li ha resi emblematici, ma in origine erano persone reali, spontanee, genuine e senza trucco, che solo successivamente sono state trasformate in maschere. Anche i personaggi più pittoreschi e popolari delle sfilate del Carnevale loanese sono nati di recente, come Beciancin e Pué Pepin a cui si affianca la Principessa Doria del Castello.
Beciancin
Beciancin è la maschera ufficiale del Carnevale di Loano ed è annoverato nell'elenco del Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane. Non si conosce il preciso momento in cui iniziò a sfilare; l’ipotesi è che sia avvenuto intorno agli anni Sessanta del Novecento ed anche la sua origine è molto incerta, forse da mettere in relazione ad un modo di dire che veniva tramandato e ripetuto in una particolare circostanza. La goliardia popolare loanese ha inteso riferire il detto ad un abitante del paese. In base a questa versione il vero nome del personaggio Beciancin sarebbe Cin, diminutivo dialettale di Vincenzo, e di lui sappiamo che amava il buon vino e che faceva il giardiniere. L’iconografia lo rappresenta regolarmente con in mano l’inseparabile annaffiatoio, detto nel dialetto loanese “rigadèa”, l’attrezzo con il quale curava gli orti e i giardini. Quando appariva per le vie del paese suscitava ilarità e simpatia, perché, con il suo modo di fare allegro e burlone, portava una ventata di buonumore nella monotonia della vita quotidiana. Aveva sempre pronta una battuta, ma soprattutto amava fare scherzi, prendendo di mira le giovani coppie. In questo trovava anche la complicità degli abitanti del borgo, che lo avvertivano quando gli innamorati si appartavano e lo stuzzicavano dicendogli “Mia chi bèccian, Cin…!", ossia "guarda Cin che amoreggiano"; proprio da queste parole deriva il suo nomignolo Beciancin. Come veniva avvertito della loro presenza, andava a bagnare i malcapitati con il suo annaffiatoio per poi scappare via divertito. Questo personaggio, portato alla ribalta dalla fantasia, dall’ironia e dall’umorismo dei loanesi, veste semplici abiti da contadino e indossa il “gazzo”, il tipico berretto ligure. Nelle parate porta sempre con sé la “rigadèa”, che, con modi impertinenti, minaccia di usare per bagnare i malcapitati spettatori presi di mira. Per fortuna dall’annaffiatoio escono solo caramelle! L’Associazione “Vecchia Loano“, per sottolineare la tradizione goliardica che la distingue, ha visto le potenzialità di questa figura, perfetta per diventare un vero e autentico protagonista del Carnevale, ed ha affidato al maestro Cesare Guidotti il compito di creare per Beciancin una maschera di cuoio, quella classica della commedia dell’arte, caratteristica dei personaggi carnascialeschi di molte rappresentazioni teatrali.
Pué Pepin
Pué Pepin è un altro personaggio di recente origine e, come Beciancin, è iscritto nel registro del Centro Nazionale di Coordinamento delle Maschere Italiane. Il suo nome è la trasposizione dialettale di nonno Peppino, Puè Pepin alla maniera loanese. Il vero Puè Pepin, nato a Loano nel mese di marzo del 1899 e secondo di quattro figli, a differenza degli altri fratelli aveva interrotto gli studi, preferendo fare il contadino e dedicarsi alla pesca e alla cattura di uccelli, che metteva in gabbia, dopo averli intrappolati usando bacchette ricoperte di vischio appiccicoso. Non aveva voluto completare la seconda elementare e, per sottolineare quanto detestasse lo studio, indicando agli amici una vecchia cartella appesa ad un chiodo nel suo magazzino di via Garibaldi, ricordava che si trovava ancora nello stesso posto dal giorno in cui, ritornando da scuola, aveva deciso che non vi sarebbe più andato. Il breve corso di studi non gli impedì di scrivere garbate poesie per festeggiare i matrimoni di alcuni familiari. Molti lo ricordano seduto davanti al portone del locale, sempre pronto ad invitare gli amici a bere, per poter gustare egli stesso un bicchiere di vino, che tanto gli piaceva. Nel locale, con il loro aiuto, “pestava” l’uva con i piedi e poi custodiva "il nettare" in grandi botti, dove conservava la scorta per tutto l’anno. Era una persona allegra, scherzosa e dal cuore contento ed aveva sempre una battuta per tutti; forse per questo suo carattere, da giovane, amava mascherarsi e partecipare alle sfilate carnevalesche, poi, dagli anni Cinquanta, rivestì regolarmente il ruolo del re del Carnevale e, sfilando a cavallo, portava allegria con il suo volto gioviale e sorridente. Dopo la sua morte avvenuta nel 1969, negli anni Ottanta venne istituita una associazione che, proponendosi di riprendere e valorizzare la tradizione del Carnevale loanese, volle rendergli omaggio assumendone il nome. Pué Pepin, divenutone il simbolo, da allora apre i corsi mascherati vestito con un costume che riproduce la Torre dell’Orologio, emblema della città, e sfila con il suo simpatico faccione contornato da una parrucca dai riccioli biondi.
La principessa Doria del Castello
La principessa Doria del Castello, un personaggio apparso nelle ultime edizioni del CarnevaLöa, sfila durante i corsi mascherati e partecipa insieme ai primi due e a Capitan Fracassa alla cerimonia della consegna delle chiavi della città. In molte feste carnascialesche vengono nominati o eletti il re e la regina del Carnevale, ma, poiché la nostra città non aveva una figura femminile a rappresentarla, l’Associazione “Vecchia Loano” ha ideato questa nuova maschera. Il nome, con molta fantasia, è stato creato guardando al passato, infatti il titolo di questa fiabesca Principessa Doria del Castello si collega alla storica casata che resse la città e il suo circondario dal 1255 al 1505. Successivamente, dal 1547, dopo un periodo in cui Loano fu sotto i Fieschi, l’imperatore Carlo V la assegnò come feudo imperiale a Gianandrea Doria, marchese di Torriglia, i cui discendenti ne rimasero in possesso fino al 1770. Accanto a queste importanti figure maschili vengono ricordate donna Zenobia del Carretto, moglie di Gianandrea Doria, che insieme al marito fu committente di importanti monumenti loanesi, Giovanna Colonna, moglie di Andrea II, che ebbe un ruolo nella nascita del monastero di Monte Carmelo, e Violante Lomellini, moglie di Andrea III Doria Landi, che, durante una grave pestilenza, si rifugiò a Loano e vi morì.
La storia della nostra città ci consegna, dunque, importanti figure di donne capaci, intelligenti e volitive, a cui si sono ispirati gli organizzatori dell’Associazione “Vecchia Loano”, sempre pronti a valorizzare le tradizioni, la cultura e l’arte locale, quando hanno creato una nuova maschera che rappresentasse il mondo femminile. Si sono anche fatti interpreti del desiderio di tante bambine, che amano identificarsi in queste “eroine” accomunate da un unico destino: sposando un principe, di solito bellissimo, diventano esse stesse principesse delle fiabe, rappresentate sempre leali, buone, gentili e soprattutto belle. Come non desiderare di vestire i loro panni almeno per un giorno del Carnevale, quando il mondo si sovverte e tutto va sottosopra? Anche se da qualche decennio il contesto storico ha portato diversi cambiamenti e certi stereotipi femminili si stanno modificando, mascherarsi da principessa è ancora uno dei desideri più ricorrenti delle bambine, quelle piccole … e anche di quelle grandi. La Principessa Doria del Castello, quando nei corsi mascherati affianca Beciancin e Puè Pepin, che, provenendo dal mondo contadino, presentano modi poco raffinati, porta una pennellata di colore e di grazia.
Per coinvolgere maggiormente i turisti, è stato istituito un concorso di bellezza, che si svolge nel mese di Agosto. In alcuni locali loanesi avvengono le selezioni delle ragazze che avranno la possibilità di partecipare alla finale per l’assegnazione del titolo di Miss Riviera delle Palme e di Reginetta del CarnevaLöa. Quest’ultima ha l’onore di interpretare il ruolo della Principessa Doria del Castello in occasione delle due giornate del Carnevale invernale e durante la serata del “CarnevaLöa Summer Edition” di luglio.
La storia della nostra città ci consegna, dunque, importanti figure di donne capaci, intelligenti e volitive, a cui si sono ispirati gli organizzatori dell’Associazione “Vecchia Loano”, sempre pronti a valorizzare le tradizioni, la cultura e l’arte locale, quando hanno creato una nuova maschera che rappresentasse il mondo femminile. Si sono anche fatti interpreti del desiderio di tante bambine, che amano identificarsi in queste “eroine” accomunate da un unico destino: sposando un principe, di solito bellissimo, diventano esse stesse principesse delle fiabe, rappresentate sempre leali, buone, gentili e soprattutto belle. Come non desiderare di vestire i loro panni almeno per un giorno del Carnevale, quando il mondo si sovverte e tutto va sottosopra? Anche se da qualche decennio il contesto storico ha portato diversi cambiamenti e certi stereotipi femminili si stanno modificando, mascherarsi da principessa è ancora uno dei desideri più ricorrenti delle bambine, quelle piccole … e anche di quelle grandi. La Principessa Doria del Castello, quando nei corsi mascherati affianca Beciancin e Puè Pepin, che, provenendo dal mondo contadino, presentano modi poco raffinati, porta una pennellata di colore e di grazia.
Per coinvolgere maggiormente i turisti, è stato istituito un concorso di bellezza, che si svolge nel mese di Agosto. In alcuni locali loanesi avvengono le selezioni delle ragazze che avranno la possibilità di partecipare alla finale per l’assegnazione del titolo di Miss Riviera delle Palme e di Reginetta del CarnevaLöa. Quest’ultima ha l’onore di interpretare il ruolo della Principessa Doria del Castello in occasione delle due giornate del Carnevale invernale e durante la serata del “CarnevaLöa Summer Edition” di luglio.
CAPITAN FRACASSA
Quanto a maschere di Carnevale l’Italia non ha rivali e tutte le regioni sono rappresentate da un personaggio contraddistinto da un carattere e un costume particolare. Quella ufficiale della Liguria è Capitan Fracassa, che, come tale, si assicura un posto d’onore in tutte le sfilate del CarnevaLöa e la presenza nella delegazione del Carnevale di Loano ospite in altre manifestazioni. Capitan Spaventa, l’altro nome con cui viene identificato questo personaggio, nasce come caricatura dei soldati di ventura spagnoli e ne evidenzia arroganza, smargiasseria e goffaggine: è un millantatore, che dichiara titoli non posseduti, racconta episodi inesistenti della sua vita e, soprattutto, quando corteggia le donne, per impressionarle, inventa storie in cui si descrive coraggioso e sprezzante del pericolo e, più temerario con la lingua che con la spada, si vanta di aver compiuto imprese straordinarie sui campi di battaglia. La figura di Capitan Spaventa si può far risalire al Miles gloriosus del commediografo latino Plauto, nelle cui opere il personaggio del soldato sbruffone è talmente ben caratterizzato da aver influenzato il teatro europeo fino al Cinquecento. La definizione di questo personaggio si deve al pistoiese Francesco Andreini (1548-1624), che entrò come attore nella Compagnia dei Gelosi e nel 1607 pubblicò Le bravure di Capitan Spavento di Vall’Inferna, ispirandosi al proprio passato di militare. Alle origini nella Commedia dell’Arte, Capitan Spaventa è colto, raffinato ed elegante; è un sognatore, che fatica a distinguere tra fantasia e realtà, ben diverso da quello buffonesco dell’altro capitano Matamoros. In Liguria le caratteristiche della maschera subiscono sostanziali trasformazioni, così il suo titolo, con un gioco di parole, diventa Capitan Fracassa di Val d’Inferno, località nelle vicinanze di Garessio tra la Liguria e il Piemonte. Secondo la tradizione, una delle tante ardite imprese che il capitano di ventura si attribuisce è quella di essere approdato sulle spiagge del ponente ligure e di aver combattuto contro interi eserciti di mori. Anche il suo aspetto non ha più le caratteristiche pensate dall'Andreini, infatti oggi è rappresentato con folti baffoni e pizzetto e con una voce cavernosa. Solitamente indossa un vestito a strisce dai colori giallo e rosso-arancio e il suo abbigliamento è completato da un cappello ad ampie tese adorno di piume. Una pesante spada pende smisurata su un fianco e, se con questa, a parole, sa essere temerario, nella realtà si guarda bene dall’usarla, anzi, trascinandola rumorosamente, evidenzia ancora di più i suoi modi maldestri. Durante la sfilata del CarnevaLöa, la persona che interpreta il ruolo di Capitan Fracassa ha un compito impegnativo: lungo il percorso passa da un lato all’altro della strada salutando gli spettatori e, per rimanere più fedele alle caratteristiche della maschera, sguaina minaccioso la spada (di plastica), apostrofando i presenti in modo arrogante. Ma è Carnevale e il mondo è sottosopra; basta una manciata di coriandoli e una risata per capire che il terribile capitano ha solo tanta voglia di divertirsi.